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Cucina Vegana - Vegetariana

a cura di
Linda Pizzuto




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Le stranezze culinarie di alcuni vegetariani
09/12/2011

Anche tra gli addetti ai lavori c’è un modo strano di concepire l’alimentazione vegetariana nella sua pratica attuazione. Molti credono che per nutrirsi in modo vegetariano occorra inventarsi un nuovo modo di mangiare, di preparare gli alimenti; che sia necessario attingere ad esotiche culture, far uso di spezie per impreziosire le pietanze. Quando si parla di cucina vegetariana sembra sia un obbligo inserire il seitan, la soia e i suoi derivati che imitano la carne: spezzatini,  wurstel, salsicce, affettati in genere e fare grande uso frittelle, pizzette, passate,  sfornati, crostatine, strudel ecc. Un’incredibile confusione regna non solo in chi cerca di avvicinarsi alla cucina vegetariana ma anche tra gli stessi vegetariani. Raramente si trova nella cucina dei ristoranti vegetariani, come nelle cucine delle persone vegetariane, una bella e salutare insalatona di verdure tenere e crude, un bel piatto di spaghetti integrali al sugo di pomodoro e basilico, un bel minestrone di verdure di stagione; difficilmente si trova un bel piatto di legumi conditi con un semplice filo d’olio d’oliva extravergine o un bel piatto di patate lesse o al forno: in tali circostanze prevalgono cereali e verdure, elaborati in tutti i modi.
Alcuni si divertono ad esibire la frutta tormentata nelle sue fattezze originali, tagliuzzata a mò di cuoricino, stelline, rotelline, cubetti, favorendo in questo modo l’inevitabile ossidazione dell’alimento; altri imitano, pateticamente, fettuccine o spaghetti adoperando zucchine ed altri ortaggi. Ma più è lontano il risultato finale dall’alimento naturale più è carente di nutrienti essenziali. Così succede che la cucina vegetariana risulti un coacervo di alimenti elaborati che tentano di imitare la carne, i formaggi ed il latte, in un insano surrogato di quella convenzionale.
Sembra che l’uomo sia il solo animale a non sapere cosa mangiare, a non sapere qual è il suo cibo elettivo. Come se l’alimentazione vegetariana la stessimo inventando oggi, nel 2000 dopo Cristo, mentre in realtà è semplicemente un ritorno saggio e maturo ad una naturalità persa negli ultimi decenni. Prima, infatti, l’alimentazione dei nostri progenitori per millenni è stata fondamentalmente vegetariana, anche perché il costoso alimento carneo era accessibile principalmente alle classi abbienti.
Non è questo il messaggio che abbiamo il dovere di trasmettere. Questo approccio all’alimentazione vegetariana è inesatto, complesso, fuorviante, innaturale e poco valido anche sotto l’aspetto nutrizionale. Il messaggio che viene percepito è che mangiare vegetariano sia complicato, difficile, elaborato, costoso; che per preparare pietanze vegetariane occorra seguire corsi di cucina, ricorrere ai nutrizionisti, conoscere il valore dei nutrienti per poterli bilanciare al fine di non incorrere a ipotetiche carenze e così via, cosa di cui non hanno mai avuto bisogno i nostri antenati. Gli stessi nutrizionisti vegetariani (quasi in tono minaccioso) non fanno che ribadire che l’alimentazione vegetariana e vegana è valida sotto il profilo nutrizionale a condizione che sia ben bilanciata nei suoi componenti al fine di non incorrere a carenze nutrizionali; come se i vegetariani fossero così sprovveduti da consumare solo patate o solo polenta.
La cucina vegetariana non è questa, non è mai stata questa, al limite può essere un’alternativa saltuaria, come sfizio sporadico, come voglia di provare di tanto in tanto nuove combinazioni, nuovi gusti, ma mai come metodica ufficiale e sistematica. Tutta la ricerca scientifica dell’alimentazione igienista raccomanda la semplicità, la frugalità, il rispetto della naturalità degli alimenti, la parsimoniosa elaborazione, l’attenta combinazione,  evitando incompatibili misture, strane insalate nelle quali si trova di tutto: noci, mele, arance, pinoli ecc. che nulla hanno a che vedere con le vere e salutari insalate che dovrebbero essere preponderanti in ogni pasto e non come semplice contorno in un mare di pietanze stracotte, straelaborate in cui difficilmente si riesce a percepire il gusto dell’alimento base annullato dagli intingoli, dalle misture e dalle spezie di ogni tipo.
E’ vero che quando si mangia fuori casa (o quando un onnivoro sceglie un ristorante vegetariano) si desidera provare piatti diversi da quelli che comunemente consumati, diversi dal solito piatto di spaghetti, ma la bravura sta nel preparare in modo accattivante, salutare e saporito i piatti tipici della tradizione vegetariana umana, senza alterare i sapori naturali. Tornare ai piatti semplici rispettando l’integrità degli alimenti voluta dalle leggi naturali, poche pietanze ma semplici e saporite, questa deve essere, è stata e sarà sempre il modo di mangiare dei vegetariani.




Linda Pizzuto






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I vegani sono delle persone molto evolute
28/10/2011

Da un punto di vista evoluzionistico, i vegani possono essere considerati gli esseri umani più all’avanguardia.
Per sua conformazione primordiale, l’uomo è spinto alla conservazione della specie mediante la caccia, la riproduzione e la protezione dei nati. Analogamente, ilvegano, è spinto alla conservazione della specie ma con modalità differenti; egli si riproduce, protegge i nati e l’ambiente, inoltre si nutre mediante una procacciazione di cibo più rispettosa e consapevole.
E’ proprio questo che rende il vegano un individuo post-moderno; nell’uomo gli istinti primordiali si sono evoluti, nel vegano, insieme agli istinti primordiali ha subito una grossa evoluzione anche l’intelletto che si è innalzato verso una sfera più virtuosa: il concetto di “protezione dei nati” ma anche più nel completo lo stesso concetto di “sopravvivenza” è stato ampliato, elaborato, evoluto.
Per sopravvivenza, nell’uomo post moderno, non si intende esclusivamente la continuità della specie umana, il termine “sopravvivenza” abbraccia l’intero ecosistema Terra, nessuna specie esclusa, non solo perché il Diritto di Vita non va negato a nessun essere vivente, ma anche perché il nostro organismo si configura meglio con un regime alimentare più sano.
Il nostro organismo non produce enzimi per digerire molte delle componenti che le industrie alimentari ci propinano. Il classico esempio è dato dal latte e tutti i prodotti caseari. L’uomo manca di lattasi, l’enzima responsabile della digestione del lattosio. Il calcio si trova in abbondanza nel cavolfiore. Allora perché dovremmo nuocere il nostro organismo per ingerire latte? (conservazione della specie umana) e ancora, perché dovremmo costringere delle mucche ad una non-vita?(protezione delle speci).
Un esempio meno tradizionale ma pur sempre valido, è dato dal surplus proteico ingerito dall’uomo mediante la carne. Le proteine sono composte da amminoacidi, questi si trovano in abbondanza nei vegetali. L’intero pool amminoacidico per la produzione adeguata di proteine può essere assunto con un’alimentazione vegetale. Allora perché uccidere altri esseri viventi? (conservazione delle speci).
Perché è il vegano il vero uomo post moderno e non il vegetariano? Il vegetariano accetta compromessi, quelli che il vegano rifiuta categoricamente per la natura del suo profilo psicologico, compatto e coerente. L’uomo egoisticamente, scende a compromessi. Il vegetariano è l’anello che congiunge l’uomo del ventunesimo secolo all’uomo post moderno, incarnato pienamente dal Vegano.




Linda Pizzuto






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La vera storia di Cappuccetto Rosso
08/10/2011


C’era una volta una bambina tanto vivace e curiosa, ma forse un po’ sola, che viveva con la mamma in una casa nel bosco.

La sua mamma le voleva molto bene, ma non aveva molto tempo da dedicarle: doveva lavorare molto, era una brava sarta ed inoltre coltivava un piccolo orto dietro casa, le cui delizie oltre ad allietare la loro tavola venivano vendute ai frequentatori del bosco. Tra questi vi era un losco figuro, un cacciatore dedito per lo più al bracconaggio, che Cappuccetto Rosso aveva visto spesso a casa sua, perché nel suo andirivieni per il bosco, a piazzare trappole qua e là, si lacerava spesso i vestiti e dunque si rivolgeva alla sarta. 
A Cappuccetto Rosso quell’uomo non piaceva, la bimba aveva trovato spesso degli animali intrappolati nelle tagliole e li aveva liberati e portati a casa per curarli, ma aveva notato lo sguardo spietato di quel tipo quando vedeva quelle creature in difficoltà; una volta la bambina aveva tolto pietosamente un pettirosso da un archetto e l’animale, ormai esangue, le era morto tra le mani; mentre la piccola piangeva sommessamente con quel corpicino ancora caldo nel grembo, era sopraggiunto il cacciatore che, dopo un rapido sguardo rabbioso, l’aveva schernita beffardo.

Non aveva mai conosciuto il suo papà e fantasticava che fosse un eroico e audace esploratore sempre alla scoperta di civiltà perdute, così nei suoi vagabondaggi per il bosco sognava di emularlo con mille avventure.

Anche la nonna viveva nel bosco, abitava da sola nella sua casetta, in una radura distante circa un’ora di cammino dall’abitazione della figlia; era piuttosto anziana, si muoveva a fatica e vedeva molto poco, inoltre soffriva di una forma di demenza senile che le impediva di fare caso a chi le faceva visita, a stento avrebbe potuto distinguere un lupo da sua nipote! 
Questa condizione rappresentava una ghiotta opportunità per i malfattori che conoscendola approfittavano del suo stato per sottrarle quei pochi averi di cui disponeva.

A giorni alterni la mamma inviava Cappuccetto Rosso a casa della nonna, affinché le portasse da mangiare e rassettasse un po’ le stanze. Le raccomandava sempre di non tergiversare lungo la strada, per evitare brutti incontri, ma il bosco era così affascinante, con tutte le creature che lo popolavano, che Cappuccetto Rosso impiegava almeno il doppio del tempo, trattenendosi una volta con gli scoiattoli, un’altra ad annusare fiori, un’altra ancora ad ascoltare il canto melodioso degli uccellini.

In queste passeggiate aveva anche un amico, un grosso lupo che l’accompagnava fino al limitare della radura dove sorgeva la casa della nonna, per
poi sparire onde evitare di incontrare altri umani, che lo perseguitavano adducendo come pretesto una presunta malvagità dell’animale. I due amici si erano conosciuti proprio a causa di una tagliola da cui la bambina aveva liberato il lupo, che dopo quell’episodio aveva assunto un’andatura claudicante. L’incontro era stato provvidenziale, perché da allora entrambi avevano avuto modo di sfatare i propri reciproci pregiudizi: il lupo aveva scoperto che non tutti gli umani erano crudeli e sanguinari, mentre la bambina dal canto suo aveva sperimentato che i lupi non mangiano le persone ed oltretutto da quel momento si era sentita un po’ meno sola.

Un incantevole pomeriggio d’autunno Cappuccetto Rosso aveva preso a bighellonare per il bosco, sempre accompagnata dal fedele lupo; giunta alla casetta della nonna le era sembrato di sentire una voce estranea, così si era affacciata alla soglia della vecchina ed aveva scoperto con orrore il cacciatore che prelevava i soldi dal cassetto del comò.
Purtroppo l’uomo l’aveva vista e così l’aveva tratta brutalmente in casa, minacciandola poi con il suo coltello. Cappuccetto Rosso tremava e piangeva, chiedendosi come si sarebbe comportato ora quel bruto; la risposta non tardò ad arrivare, perché quel manigoldo rivelò ben presto tutta la sua perfida natura, puntando addosso alla malcapitata uno sguardo carico di cupidigia… 
Cappuccetto Rosso raccolse tutte le forze per divincolarsi dalla stretta del mostro e per gridare! Un attimo dopo il grosso lupo fedele con un balzo entrò dalla finestra e fu alla gola dell’uomo che per la sorpresa perse il coltello; caduto a terra supino, con le fauci della fiera a pochi centimetri dal suo volto, non potè fare altro che aspettare l’arrivo delle forze dell’ordine, che, udito il racconto fornito dalla bimba, lo portarono via in manette.

Il lupo divenne un eroe, ma soprattutto ottenne, per intercessione della sua piccola amica, che i suoi simili che abitavano la zona non venissero più perseguitati dagli umani; da allora i due divennero inseparabili, il lupo accompagnava la bimba a scuola e la sera si accucciava ai piedi del suo letto.

La mamma, dal canto suo, decise di prendere la nonna a casa con sé; così nella nuova famiglia allargata finalmente entrò la serenità e tutti vissero felici e contenti… mentre il cacciatore marciva in prigione rimuginando sui propri misfatti.



Linda Pizzuto






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ricordi di un cucciolo abbandonato
25/07/2011

Ciao a tutti mi chiamo .. beh come mi chiamo non lo so. So solo che sono un cucciolo di cane e che sono appena nato. Dove mi trovo ora non lo so, ma mi ricordo quello che è successo.
Eravamo in cinque tre maschietti e due femminucce la mia mamma camminava serena sapendoci al sicuro nella sua pancia. Ci parlava, ci spiegava quello che succedeva intorno a noi, ci rassicurava quando sentivamo dei rumori spaventosi.
Tutte le sera facevamo il  nostro giro serale, mentre il suo padrone andava fuori con un sacchetto e lo buttava dentro qualcosa che faceva uno strano rumore. La mamma ci ha spiegato che li gli umani gettano quello che ritengono inutile, quello che puzza. Si chiama…non mi ricordo di preciso…ah si ecco, spazzatura.
La mamma poi non poteva più muoversi, noi siamo cresciuti ed eravamo pronti ad uscire. La mamma ci dice di stare tranquilli, che qualunque cosa succeda lei ci sarà per difenderci, non permetterà a nessuno di farci del male.
All’improvviso qualcosa ci schiaccia, una forza ci spinge verso il basso. Mamma! Mamma! Finalmente sto per uscire, finalmente ti posso vedere!Mamma!Mamma! Ho tanta fame dove sei?? Ma all’improvviso non c’è la mamma, c’è una luce accecante. Sento la mamma piangere! Mamma non piangere ora arriviamo!Mamma ho fame, ho freddo.. Mamma!
Ma la mia mamma non mi risponde. Chiamo i miei fratellini, anche loro non mi rispondono. Non so dove mi trovo. Ho solo fame e tanto freddo. Sono in un posto chiuso, sembra un sacchetto, c’è poca aria, sto facendo fatica a respirare. Mamma, Mamma ho paura cosa sta succedendo!! Mamma Mamma!! Mamma!!!
Ahia! Sento i miei fratelli e le mie sorelle sono tutti spaventati come me, Ahia! Veniamo sbattuti e messi su una cosa, non so cosa sia e non c’è la mamma che me lo spiega, questa cosa fa un rumore strano sembra che vibra tutta e poi c’è una puzza…. Finalmente la cosa si ferma e noi pensiamo che stiamo per andare dalla mamma. Invece ecco il rumore che sentivamo la sera quando facevamo il giro con la mamma.  Siamo finiti in un bidone della spazzatura, ma allora non siamo cuccioli, siamo cose inutili. Piango piango, chiamo la mamma ma nessuno mi risponde, sento lontano la voce di due miei fratelli, degli altri sento l’odore ma non mi rispondono. Come mai siamo qui dentro, dov’è la nostra mamma? Ho fame, ho freddo e non riesco a vedere nulla, ci sono tanti odori che non riconosco. Sono senza forze ho tanto sonno, ma non lo stesso sonno che avevo quando ero in pancia della  mamma. Poi all’improvviso di nuovo un rumore strano e finalmente il sacchetto si apre. Posso respirare, non so cosa succede. Purtroppo ci siamo solo io e una mia sorella.
 
Epilogo.
Quella sera a trovarci fu un signore che come il padrone della mia mamma andava a buttare la spazzatura con il suo cane. Ha sentito il nostro mugolio e ci ha trovato. Siamo stati portati in un posto pieno di altri cani con tante mani pronte a coccolarci. Ora mi sento più forte, il latte è buono io e la mia sorellina siamo insieme sempre vicini vicini.
 


Linda Pizzuto






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San Francesco di Paola, il santo vegan
08/05/2011

“A nessun frate, pertanto, è permesso, contro la presente stabile legge, alimentarsi in qualsiasi tempo dei suddetti cibi pasquali, ossia di grasso: e cioè di carni, di uova, di formaggio, di burro nè di latticini di ogni tipo, nè di loro composti o derivati. E non si permetta di introdurre o far introdurre in convento alcuno di questi alimenti”.

San Francesco di Paola nacque in Calabria nel 1416. 
Fu votato dai genitori a San Francesco d'Assisi e vestito con un saio francescano per tutto il primo anno della sua vita. 
Così ispirato sin dall'inizio da San Francesco di Assisi, ad appena 14 anni, il giovane Francesco si ritirò nei boschi di Paola in solitudine e vi rimase, dormendo in una grotta, mangiando ciò che la natura donava lui spontaneamente con la sola compagnia degli animali selvatici. 
Presto però fu raggiunto da 12 eremiti e da numerosi fedeli colpiti dal suo esempio e dal suo carisma.
Da questo primo nucleo sorto intorno a lui ben presto si formò un vero e proprio movimento approvato da Papa Sisto IV nell'anno 1474. 
San Francesco di Paola fin dall'inizio della sua vocazione, si attenne ad una dieta rigorosamente vegana escludendo ogni derivato animale. 
Ciò potrebbe oggi stupire qualcuno, ma sebbene all'epoca non esisteva il concetto di "vegetariano" così come oggi noi lo intendiamo, di fatto esisteva il vegetarismo, che allora veniva chiamato semplicemente "astinenza". 
L'astinenza dalla carne era alle origini del cristianesimo praticata e anzi raccomandata dalla maggior parte dei maestri. 
Già Basilio il Grande padre e dottore della chiesa disse: "le esalazioni dei cibi a base di carne adombrano la luce dello spirito". 
Il cibarsi di carne infatti era considerato alimento da belve e sulla base dell'esperienza era accertato che impedisse l'esperienza mistica, la contemplazione, che danneggiasse quindi l'anima oltre che il corpo, pertanto secondo molti era impossibile essere uomini di spirito secondo la volontà di Gesù Cristo e mangiare la carne degli animali uccisi. 
Presto questa usanza di tutti gli uomini spirituali andò decadendo assieme ai costumi della chiesa per non essere poi più ripristinata salvo rare eccezioni. 
San Francesco di Paola si nutrì all'inizio di erbe selvatiche e di frutti, e la comunità che sorse attorno a lui si attenne subito a questo stile di vita. 
Quando però i frati divennero più numerosi e nacque un vero proprio ordine, essi iniziarono a coltivare l'orto e a nutrirsi solo di ciò che producevano. 
Nel 1506 nacque l' ordine dei Frati Minimi, e fu scritta per l'ordine una regola approvata dal Papa. 
L'astinenza dalla carne era l'irrinunciabile caratteristica dei frati ed entrò nella regola sotto forma di 4° voto di "perpetua vita quaresimale". 
Ma come riferito nella “Vie et miracles de s. Francoise de Paule” di Claude Vivier, San Francesco si nutrì per tutta la vita escludendo non solo la carne, ma anche il pesce, alimento dalla chiesa già da tempo considerato lecito anche in quaresima, mostrando così di non fare alcuna distinzione fra prodotti di origine animale. 
Nella "cronica general de l'ordine de los minimos de san Francisco di Paola di Lucas di Montoya "(1619) l'astinenza viene elogiata in modo gioioso, oltre che come motivo di perfezione spirituale come naturale attitudine di vita. 
In questa fonte si dice che San Francesco " con la liberazione dall'attaccamento al cibo considerato non più come piacere di gola, ma solo come sostentamento del corpo, giungeva a risultati di buona salute e di sano equilibrio fisico e mentale." 
Ancora oggi l'astinenza dalla carne e da tutti i derivati animali costituisce il 4° voto della regola, un voto aggiunto ai tradizionali voti di castità, povertà e obbedienza. Nessun alimento animale può varcare la soglia del convento. Gli unici prodotti di origine animale che sono permessi, solo sotto la responsabilità e il permesso degli oblati, sono unguenti a scopo terapeutico e candele. 
Così la regola stabilisce: 
25 . Tutti i frati di quest'Ordine si asterranno completamente dai cibi di grasso e nel regime quaresimale faranno frutti degni di penitenza si da evitare completamente le carni e quanto da esse proviene. Pertanto a tutti e a ciascuno di essi è assolutamente e incontestabilmente proibito di cibarsi, dentro e fuori convento, di Carni, di grasso, di uova, di burro, di formaggio e di qualsiasi specie di latticini e di tutti i loro composti e derivati. 
27 . Si guardino però tutti i frati e gli Oblati di indurre, essi stessi o per interposta persona, il medico a farsi dispensare dalla vita quaresimale per quella pasquale, cioè di grasso: tanto più che è giuridicamente vietato agli stessi medici di consigliare ai malati per la salute corporale ciò che potrebbe convertirsi in pericolo dell'anima. Risultando poi chiaramente che l'infermo si è tanto ristabilito da potersi sostenere con i consueti alimenti quaresimali, dopo ponderata decisione, ritorna al più santo regime della vita precedente, memore della propria salutare professione. A nessun frate, pertanto, è permesso, contro la presente stabile legge, alimentarsi in qualsiasi tempo dei suddetti cibi pasquali, ossia di grasso: e cioè di carni, di uova, di formaggio, di burro nè di latticini di ogni tipo, nè di loro composti o derivati. E non si permetta di introdurre o far introdurre in convento alcuno di questi alimenti. 
34 . Restano anche proibiti, per tutti, i pasti consumati di nascosto. Nondimeno gli ospiti siano accolti con cuore gioioso e volto sereno e, secondo la possibilità di ciascun convento, vengano benignamente serviti, con cibi quaresimali solamente, da coloro che il Superiore avrà a ciò incaricato. 
Bartolomeo Maggiolo nel cap XIII della " vita del miracoloso patriarca dei minimi san Francesco di Paola" riconduce l'astinenza della carne praticata dai Minimi alla primaria volontà di Dio espressa nella Genesi, "prima che il mondo decadesse dalla sua integrità, non si usava in esso mangiar carne.." ...continua dicendo che, gli uomini si contentavano di ciò che produceva la terra e la vita della selvaggina era tranquilla, perché non si era ancora appreso a sostentarsi con la morte degli animali. 
Nella stessa opera si descrive un episodio emblematico: una carestia colpì gli abitanti di Spezzano, dove il santo si era recato nel 1453 per costruire il 3° convento, e non solo la piccola congregazione di religiosi fu l'unica a non soffrire la fame, abituata come era a nutrirsi in modo parco, ma fu anche in grado di soccorrere i poveri che accorrevano al monastero con i cibi abituali della mensa conventuale: radici, erbe crude e legumi bolliti. 
I miracoli e la fama taumaturga di Francesco si diffusero in Europa , al punto che il re di Francia Luigi IX, gravemente malato, ne reclamò la presenza insistendo presso il papa Sisto IV. 
Il re morì il 13 Agosto fra le braccia del santo. 
Il Papa, trovò utile avere un uomo di carisma presso la corte francese, e san Francesco non poté più ritornare in patria dovendo assolvere delicati incarichi diplomatici. 
Morì nel convento di Blessis nel 1507 all'età di 91 anni in un epoca in cui l'età media era molto bassa, le fonti dicono che il suo stile di vita non cambiò mai, non assaggiò mai le pietanze del cuoco di corte e non mangiò mai carne e derivati animali. 
Egli accettò un piccolo orto, per poter coltivare e stare in sereno colloquio con Dio e con la natura, secondo la vocazione che un tempo lo portò a cercare refrigerio per l'anima nei frondosi boschi di Paola fra i fratelli animali, gli stessi fratelli che confortarono il suo precursore e ispiratore san Francesco di Assisi, nella sua vita libera nei boschi di la Verna. 
Sembra che ancora oggi l'ordine dei minimi mantenga una speciale vocazione all'interno della chiesa cattolica di custodia della natura e di attenzione verso le tematiche ecologiste.




Linda Pizzuto






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